Archivio

Archive for ottobre 2011

Un poliziotto da happy hour

Un film di John Michael McDonagh

Titolo originale: The Guard

Genere: film da ridere politically scorrect

2011

Tout court: commedia nerissima, ergo: DA VEDERE!

NON DATE RETTA AL TITOLO ITALIANO, che fa sembrare il film una porcata rara, ma passate oltre. VE NE PREGO. questo è un film da vedere, ve lo giuro. vi spisciate sotto dal ridere come se steste guardando Giancarlo Magalli che da’ una testata a un palo, e nel frattempo carrellata di morti ammazzati, razzismo per nulla velato, dddroga e sesso con prostitute di dubbia provenienza. in più c’è quel montone d’assalto di Brendan Gleeson, per capirci quello di In Bruges, che se non l’avete mai visto correte a spararv(i)\elo: un capolavoro! qui, tanto per capirci, è il McDonagh junior (il fratello di quello di In Bruges) a dirigere e, soprattutto, a scrivere, quella che, dalle mie parti, chiamiamo una signora commedia. c’è tanto di quel cinismo e nichilismo anni zero da far sbavare quel fagottino di Kevin Smith (di cui, peraltro, vi consiglio l’ultimisso Red State). vi dico solo che all’inizio- ma proprio i primi fotogrammi- c’è uno di quegli incidenti mortali con tanto di giovinastri sotto anfe morti ammazzati e il nostro poliziotto del titolo ha la bella pensata di spararsi un quadruccio (LSD, ndr) e farsi una bella risata: non so… vi rendete conto?

qui vi metto un bel trailer sostanzioso e vi lascio con un ultimo consiglio: se potete guardatevelo in lingua original ché s’apprezza il cortocircuito linguistico tra l’irlandese e lo yankee. già, perché non ve l’ho detto ma la trama è quella di un buddy cop movie classico, stile Danko (linc).

Categorie:film da ridere

Chokehold – Prison of Hope

Autore: Chokehold

Titolo: Prison of Hope

Genere: hardcore punk

1993

Tout court: martellata sulle gengive.

suonano proprio rozzi, ‘sti canadesi super straight-edge, vegani e tutto il resto, con due palle così. vita brevissima tutta consumata nei grungissimi anni novanta, quando l’hardcore diveniva sempre più di nicchia e radicale, mentre in Italia scoppiava Mani Pulite e Baggio sbagliava i rigori a random. nel frattempo i ragassi se ne uscivano con ‘sto discotto per la Conquer the World (eloquente, no?), dopo un fiume di ep, slit e demo che facevano decisamente centro. magari non è quell’hardcore che dici “no, non ti puoi permettere di perderli” ma oh, è roba che spakkka e che va riesumata. a tal fine ci ha pensato il saggissimo collega su Inhuman Cage, che ha messo per il vostro (e, of course, il mio) piacere tutta la loro discografia, un frego di traduzioni e pure un’intervista andata a scovare chissà dove. se amate l’hardcore vecchia scuola, ripescateli e non ve pentirete.

Shit and Shine – Ladybird

Autore: Shit and Shine

Titolo: Ladybird

Genere: ultra-tribal-noise

2005

Tout court: pandemonio anarchico!

CAZZO. mi viene da dire solo questo, dopo i 41 minuti e 44 secondi di maelstrom apocalittico in cui gli anglo-americani (di stanza tra il rude Texas e la swingin’ London) firmano la più colossale e magnetica equazione musicale degli ultimi dieci anni (almeno): “4 drummers, 2 bassists and 1 toy keyboard = 1 riff, 41 minutes = evil fun”. esattamente così dice il retro di questo discone della madonna, ché- se ancora non s’era capito- è una di quelle robe imprescindibili da spedire nello spazio quando l’umanità avrà imboccato l’auto-distruzione e bisognerà salvare le poche cose degne di nota che l’uomo abbia mai creato (assieme, ovviamente, alla Sacher Torte e alle tette di Barbara Marzano ne La Seduzione che sì, tecnicamente, sono state create da un uomo, e non fatemi spiegare come…). in pratica, questi maramaldi ci spediscono all’altro mondo con un marasma rituale tipo ‘preparatevi all’avvento dell’anti-cristo’, mescolando metal, industrial, noise, noise e ancora noise, noise a palate- ma non è quel noise cattivo in cui non ci si capisce un cazzo e sembra solo rumore- è qualcosa di più, è una roba sublime.

tanto vi ruba solo 40 minuti della vostra lunghissima vita (ovviamente se vi iniziano a far male le orecchie, levatelo, non voglio mica essere denunciato, eh), correte su mediafire!

Disciplinatha – Abbiamo pazientato 40 anni ora basta

Autore: Disciplinatha

Titolo: Abbiamo pazientato 40 anni, ora basta!

Genere: hardcore punk, no-wave

1988

Tout court: POTENZA!

vent’anni fa c’è stato un miracolo- dalle parti Emilio-romagnole– di portata storica, direi quasi cosmica. un gruppo composto da pochi giovinastri (così vanno apostrofati quelli tra i 18 e i 28, mi dice la nonna) si mise a fare una gran caciara con la chitarra (roba punkissima!), a scanticchiarsela in un grammelot italo-inglese e ha il colpo di genio di campionare un discorso dell’intoccabile dux ducis Benito e la sigla del tiggì Uno (o Cinque, la differenza non la si nota tanto). il risultato è questo LP bellissimo e, soprattutto, di una potenza che oggi ti sogni da gruppazzi e gruppazzucoli italioti. i Disciplinatha poi son roba che andrebbe studiata sul sussidiario delle elementari, perché hanno fatto pure un altro super discottone (Un Mondo Nuovo) da brividi e sussulti, mica le quattro canzonette che passano su radio diggei. la storia, i testi, le immagini e tutte le altre boiate da music-nerd quali siamo le trovate qui. un ultima precisazione- visti i tempi cafoni che corrono (cos’è successo a Roma, il 15 c.m.? mah) è richiesta vista la quantità di mala informazione circolante: i Disciplinatha si rifacevano all’estetica fascista in maniera del tutto provocatoria (di quelle provocazioni che, a me, m’attizzano proprio), in maniera complementare a certi CCCP- Fedeli alla Linea (ma certo che li conoscete, no?) e al loro soviet-stalin-punk.

Fennesz – Endless Summer

Autore: Fennesz

Titolo: Endless Summer

Genere: glitch, ambient, experimental

2006

Tout court: sbem!

Christian Fennesz non ha di certo bisogno di presentazioni. se però fate parte di quel zero virgola un per cento di umanità che ignora chi sia- e nel qual caso dio abbia pietà di voi- vi dico solo che, forse, è il più grande compositore di musica ambient e, più in generale, il più grande sperimentatore a cavallo dei due millenni. vi basta? voglio dire: mica pizza e fichi, eh? considerate, poi, che il qui presente dischetto è, credo, il suo miglior lavoro [opinabilissima frase, ma tant’è…] e che se, ovviamente quando avete finito di leggere, non siete ancora corsi ad ascoltarlo e a farvi rapire dalla moltitudine di suoni e suggestioni che un uomo è capace di creare con una chitarra e un laptop (vedi “Caecilia” e “Shiseido”), giuro che vi vengo a cercare con un trapano multiuso, una serie di dildo colorati da venticinque centimetri e quel buontempone di Kimbo. un ultimo incentivo e poi prometto che taccio: avete presente Tim Hecker? ecco, se poco poco vi garba allora per il buon Christian vi strapperete i capelli.

facile reperibilità su mediafire.

Civil Civic – Rules

19 ottobre 2011 2 commenti

Autore: Civil Civic

Titolo: Rules

Genere: instrumental electro-rock, post-rock, synth-pop, post-punk, indie-prog

2011

Tout court: ma che ficata!

voi non avete idea di cosa vi state perdendo stando qui a leggere queste insulse (seeee!) righe, invece di correre rovinosamente alla fine del post o su gugòl a mettere in daunlò i Civil Civic e il loro stupendo disco d’esordio. che, va detto subito, è un disco della madonna e di cristo messi insieme e vale un’intera discografia. (ma forse mi sono fomentato troppo). un fatto rimane: se sono riusciti a mettere il dance-pop nelle maglie brute del math-rock, un ascolto, un applauso (un high-five se siete intimi), (una bottiglia di grappa se siete veneti) se li strameritano, checcazzo. tra l’altro non andavo così in palla con un disco da quando, verso maggio-giugno, non era arrivato Zomby [vedere il ‘tag’ a lato], ed è un bel po’ strano- ché io non sono uno di quelli che s’eccita appena sente due note messe bene. che poi se c’è proprio qualcuno che devo (e per esteso, che dovete) ringraziare questo è il saggio (vita di) legno e le sue sempre tempestive segnalazioni. senza di lui non avrei mai avuto il piacere di fare hair-guitar sulle note di “Street Trap” o di andare a dire in giro: “guarda ascoltateli, sono tipo i 65dos frullati coi Gang of Four e aggiornati ai tempi dei Death From Above 1979”.

qua tutti lincozzi:

http://civilcivic.com/

lo streaming qui

per descargarlo (oggi sono muy internacional) qui

e, in più, beccatevi ‘sto video troppo ganzo:

Super

Un film di James Gunn

Titolo originale: Super

Genere: film da ridere però strano parecchio.

2010

Tout court: cazzo!

inauguriamo qui una piccola mini-rubrichina in cui parleremo, essenzialmente, di film da ridere.

e già m’immagino le risate…

eppure non c’è veramente niente da ridere. i film da ridere giocano un ruolo importantissimo, nella mia vita [poco sopra i Quattro salti in padella Findus e leggermente sotto la mia copia originale con tanto di dedica della biografia di Eva Henger] come minimo alla pari con le manovre finanziarie dei portentosi governi italioti , non per uno, non per due, ma per ben tre motivi tre: 1) ad entrambi mi dedico solo quando sono bello rilassato e mi va di vedere\ascoltare\leggere qualcosa che non mi smarmelli il cervello; 2) da entrambi pretendo- 9 volte su 10 con successo- che mi facciano ridere su una scala che va dall’incurvatura della labbra passando per il risolino fino alla sbellicamentus maiestatis (e qui si capisce che ho fatto il classico, tsk); 3) entrambi rappresentano dei diversivi elaborati da personale appositamente selezionato con il solo e unico scopo di generare irrefrenabili istinti ridanciani, e non hanno alcuna pretesa di serietà. detto questo, il film in questione è una mirabilissima eccezione ai criteri di cui poco fa. c’è sangue, sesso, ingiustizie sociali, umiliazione, quella faccia d’abbacchio di Rainn Wilson– già apprezzato in The Rocker e Hesher– cinismo anni zero, dddroga, Ellen Page (di Juno) che blatera e copula come solo i masculi, e pure quelle due mezze chicche di Kevin Bacon e Liv Tyler. perciò non pensatelo come un film su un supereroe ma come un film su uno psicopatico. lo apprezzerete certamente. e poi- voglio dire- James Gunn (il regista) è uno che viene dalla Troma e ci ha sfacciatamente preso per il culo con i suoi PG Porn ovvero il porno senza la pornografia e mi stra-basta e avanza.

Categorie:film da ridere

Pianos Become the Teeth – Old Pride

Autore: Pianos Become the Teeth

Titolo: Old Pride

Genere: screamo, post-hardcore, post-rock

2009

Tout court: bellocci.

secondo me stanno proprio su una buona strada, ‘sti baltimoresi. di certo ancora non hanno raggiunto la maturità artistica ma hanno decisamente la stoffa per diventare un gruppo da medio-culto. sonoricamente somigliano ai contemporanei La Dispute (vedi linc: Wildlife), o anche a Touché Amoré o i cucciolosi (si fa per dire) Defeater… insomma tutti nomignoli che danno l’idea di una certa qualità, nevvero? per questo mi attendo- non dico una bomba, né una roba da sbrodolarsi in giuggiole- ma almeno un capolavoro colossale che rimanga nella storia dell’umanità; ovviamente scherzo, ma è per dire che i nostri si son attirati parecchie aspettative e speriamo che i campioncini non vadano troppo sotto pressione, ché si sa cosa succede quando dei giovani promettenti subiscono la pressione mediatica (riferimento casuale qui). e quindi, incrociamo le dita. nel frattempo godiamoci il loro debutto, davvero niente male…

reperibile sul solito irreprensibile mediafire.

Amon Tobin – Bricolage

Autore: Amon Tobin

Titolo: Bricolage

Genere: acid jazz, folktronica, trip-hop, idm, drum’n’bass

1997

Tout court: un sogno colorato, profumato e grondante samba.

le sue ultime cose hanno catturato poco la mia attenzione, ma Amon Adonai Santos de Araujo Tobin s’è guadagnato un posticino di tutto rispetto nel Valhalla della musica elettronica con ‘sta perla carnevalesca e trasognata che attinge distrattamente da Aphex Twin e la bossa nova. sì, bossa nova, perché il nostro viene dal Brasile, dimostrando in questa sede, che il paese non è capace solo di produrre fenomeni del calcio senza tempo come il pesante Andrade o il fenomeno invisibile Caio, ma c’è pure chi si diletta con l’electro. innanzitutto le cronache riportano che, componendolo, si nutrisse esclusivamente di pane e jazz, secondo poi bisogna evidenziare l’armonia con cui fonde il lounge e l’impiastriccia coi ritmi brazileiri (checché se ne dica, secondo me, vengono fuori abbastanza spesso), scatenando la cosiddetta mossa del piccione in ciascun ascoltatore che non stia già con un Pampero o un vinello in mano agitando i fianchi come una danzatrice del ventre. tanto per capirci, queste sono quattordici tracce che sono già storia, ed è come minimo doveroso ripescarlo dal dimenticatoio. se ancora non vi ho convinto, vi posso dire che (sempre se vi piace Four Tet) assomiglia a Four Tet, ma più rilassato e tropicale.

recuperabile sul fido mediafire.

James Blake – Enough Thunder [EP]

Autore: James Blake

Titolo: Enough Thunder

Genere: dubstep, electro-soul, experimental

2011

Tout court: bellino.

quando ho letto che il bimbo James s’era messo di nuovo ai fornelli sulla bachechina dei consigli di Last.fm confesso che ho provato una emozione di discreta portata (certo, se avessi letto di un nuovo disco di Magic Voice avrei pianto lacrime di gioia che m’avrebbero sentito pure in Perù). il suo discone di inizio anno m’era garbato un frego e calzava come un guanto col mio mood maniaco-depressivo post-vacanze di natale: c’era la voce spezzata e cantilenante, i bassi forti e il retrogusto di brughiera del Sussex; insomma, aveva tutte le carte in regola per affogarmi d’ascolti. così mi son fiondato come un ratto sul formaggio su questo piccolo ep e sono trasalito per il disappunto: certo c’è una signora canzone della madonna (cioè “Not Long Now”: da brividi) e pure il duetto con quello scoiattolone di Bon Iver c’est très bon ma per il resto… mah.  sembra la copia in salsa electro del chamber-pop di Antony e i suoi Johnsons. se nel disco questa era uno dei tanti nomi che venivano in mente, qui è IL nome che viene in mente. con tutto che mi sta simpatico (sia il James che l’Antony)- sarò uno stronzo io a pensarlo- ma m’aspettavo qualcosa di diverso. che amarezza.

vabbé, provatelo (mediafire!), poi mi dite.

Clubroot – II: MMX

Autore: Clubroot

Titolo: II: MMX

Genere: dubstep, future garage, ambient, idm

2010

Tout court: come sarebbe fluttuare nello spazio vuoto?

 

via, si parte. per un trip infinito nella galassia profonda, lontano da dio e dagli uomini. troppo aulico? dite che in fondo il dubstep è la musica più terraterra che c’è, quella nata negli scantinati del fumo e del sudore della Londra underground? se non conoscessi Clubroot, o meglio: Dan Richmond, vi darei ragione. ma quello che ha combinato ‘sto ragazzuolo ha dell’eccezionale. il disco di cui state leggendo segna il passo: guarda a Burial, ma ci mette più ambient (ma non per questo meno soul). qualcuno penserà che dopo quel che sto per scrivere mi dovrò mordere la lingua (o comunque fustigarmi con una forchetta o un gatto a nove code- a piacimento), il che forse è giusto, ma io me la sento proprio qui, sulla punta della lingua e non vedo l’ora di scriverla, e allora ecco che la sparo grossa: Clubroot e la sua carriola di suoni cosmici potrebbe essere l’equivalente di oggi dello psych-rock degli anni sessanta. ecco, l’ho detta (cioè scritta). è una sboronata classica stile chiacchiere da bar ma io ci credo (e poi non la vedo tutta ‘sta differenza tra spararla al bar e spararla su internette).

al di là di tutti i miei sproloqui inutili e oziosi, rimane il fatto che questa è una roba da nove in pagella. compiti a casa: ascoltare Clubroot (via mediafire).